Il quesito filosofico della vera natura dei numeri

L’idea di numero proviene da quella di contare, e ha bisogno di un supporto concreto, ovvero gli oggetti da contare.

Inizialmente l’uomo non percepì l’idea dello zero.

L’idea nacque quando si sentì l’esigenza di avere un segno che indicasse un posto vuoto all’interno di un numerale lungo.

Il problema della vera natura dei numeri fu posto da Platone; sono diverse le fasi del pensiero platonico:

::::: nella prima fase il numero è considerato come ente a sé, non associato a cose sensibili;

::::: nella seconda fase i numeri diventano un sistema di pensiero, “le idee sono numeri, generate da un principio, l’unità” (il numero 1, come scrive Euclide negli “Elementi”).

Sulla concezione e sull’utilizzazione teorica e pratica del numero studiarono rigorosamente Archimede e Diofanto di Alessandria.

Successivamente Leonardo Fibonacci diffuse l’aritmetica in Europa grazie alle nozioni imparate in oriente, e Boezio si fece portavoce della tradizione euclidea.

Niccolò Fontana detto Tartaglia distingue i numeri naturali dai numeri matematici, dandone le rispettive definizioni:

i numeri naturali sono enti affini a ciò che si può misurare;

i numeri matematici sono enti astratti.

Cartesio definisce il numero come:

idea astratta derivata da atti concreti operati nel nostro pensiero

Quest’idea domina ancora oggi tra i filosofi della matematica. Anche Gauss sosteneva questa idea.

Questo modo di pensare diede origine al processo di aritmetizzazione delle matematiche nel diciannovesimo secolo: si doveva ricondurre tutta la matematica a una fondazione unica, basata sulla teoria dei numeri naturali, perché essa scaturisce con naturalezza dalla nostra mente, e per questo ben si presta a fondamento della matematica stessa.

Le leggi matematiche sono atti del pensiero, legate al mondo concreto, quindi sono prive di circoli viziosi e non creano contraddizioni.


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